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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-04-09 ad oggi 2010-04-09 Sintesi (Più sotto trovate gli articoli)

parla mons. Marchetto, numero due del dicastero vaticano dei migranti

Migranti, critiche dal Vaticano: "Gli accordi con la Libia violano i diritti"

"Nessuno può essere estradato dove c'è il pericolo che la persona sarà condannata a morte o torturata"

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-04-05 ad oggi 2010-04-05

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2010-04-09

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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2010-04-09

parla mons. Marchetto, numero due del dicastero vaticano dei migranti

Migranti, critiche dal Vaticano:

"Gli accordi con la Libia violano i diritti"

"Nessuno può essere estradato dove c'è il pericolo che la persona sarà condannata a morte o torturata"

parla mons. Marchetto, numero due del dicastero vaticano dei migranti

Migranti, critiche dal Vaticano:

"Gli accordi con la Libia violano i diritti"

"Nessuno può essere estradato dove c'è il pericolo che la persona sarà condannata a morte o torturata"

MILANO - "Nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di punizione o trattamento degradante o disumano". A ricordarlo è monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale delle Migrazioni, che contesta la decisione italiana di intercettare in mare gli immigrati "respingendoli forzatamente in Libia, come previsto da un accordo bilaterale con quel Governo, e ciò senza valutare la possibilità che vi fossero fra di loro rifugiati o persone in qualche modo vulnerabili".

"CONDIZIONI DISUMANE" - "In Libia - ricorda Marchetto - esistono centri di detenzione e di rimpatrio dove le condizioni variano da accettabili a disumane e degradanti. E l'accesso a questi centri è difficile per cui è arduo monitorare il rispetto in essi dei diritti umani, tenendo poi conto che tale Paese non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951, nè al relativo Protocollo del 1967, e non riconosce l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati". "Confermo - ha sottolineato l'arcivescovo in una nota - la mia posizione di condanna a chi non osserva il principio di 'non-refoulement', che sta alla base del trattamento da farsi a quanti fuggono da persecuzione. E mi domando se in tempo di pace non si riesce a far rispettare tale principio fondamentale del diritto internazionale umanitario, come si farà a richiederne l'osservanza in tempo di guerra. E la domanda si può estendere alla questione della protezione dei civili durante i conflitti, che viene così indebolita nella sua radice, comune, umanitaria". Secondo il presule, "un altro diritto violato nell'atto di intercettare e respingere i migranti sulle coste africane del Mediterraneo è quello al "giusto processo", che comprende il diritto a difendersi, a essere ascoltato, a fare appello contro una decisione amministrativa, il diritto ad ottenere una decisione motivata, e quello di essere informati sui fatti su cui si basa la sentenza, il diritto ad una corte indipendente ed imparziale". Secondo monsignor Marchetto, inoltre, "le intercettazioni addirittura vanno contro allo stesso Codice frontiere Schengen, dove si dichiara che tutte le persone alle quali è stato negato l'ingresso al territorio avranno il diritto di appello". "Le persone respinte - spiega il presule citando un recente rapporto dell'Human Rights Watch che denunciava l'intercettazione da parte delle guardie costiere italiane di migranti e richiedenti asilo africani che navigavano nel Mediterraneo - non hanno possibilità di esercitare questo diritto d'appello, non sono informate su dove e come esercitare questo diritto, e ancor più, non esiste per loro nemmeno un atto amministrativo che proibisca ad essi di proseguire nel loro viaggio di disperazione per raggiungere acque internazionali e che disponga il ritorno al luogo di partenza o ad un altro destino sulla costa africana".

LE VIOLAZIONI - "Altri diritti violati - elenca il numero due del dicastero vaticano per i migranti - sono quelli all'integrità fisica, alla dignità umana e persino alla vita", come dimostrano i tanti che non superano la traversata dei quali il Mediterraneo è diventata la tomba, ma anche quelli che muoiono nella traversata del deserto per tentare la sorte partendo da Paesi affacciati sul Mediterraneo meno severi della Libia. Nella lotta contro l'immigrazione irregolare non bisogna dimenticare che "circa tre-quarti degli immigrati in situazione irregolare arrivano di fatto con un visto o permesso d'ingresso valido, e poi rimangono nel Paese scelto dopo la sua scadenza, confermano i dati in nostro possesso relativi a Italia e Spagna, principali Paesi di prima destinazione in Europa mediterranea". E in ogni caso - conclude mons. Marchetto - si "devono rispettare la Convenzione di Ginevra del 1951, e il relativo Protocollo del 1967, sullo status dei rifugiati, i trattati interni sulla estradizione, transito e riammissione di cittadini stranieri e asilo (in modo particolare la Convenzione di Dublino del 1990) e quella del 1950 sui Diritti Umani". (Fonte Agi)

 

09 aprile 2010

 

 

 

 

 

REPUBBLICA

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2010-04-09

L'associazione Astalli presenta il Rapporto 2010 sulle condizioni di vita dei migranti

"Diminuiscono le domande d'asilo ma crescono gli utenti che usufruiscono dei Centri"

In fuga da guerra e povertà

il dramma dei rifugiati in Italia

In 19mila senza accoglienza. Molti gli uomini afgani e le donne africane

In fuga da guerra e povertà il dramma dei rifugiati in Italia

ROMA - Ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì, formano una coda di uomini e aspettano di entrare nella mensa. Si rivolgono agli sportelli dedicati all'orientamento al lavoro, chiedono assistenza legale o partecipano ai corsi di lingua per imparare l'italiano. Gli uomini provengono soprattutto da Afghanistan, Eritrea e Somalia. Le donne dall'Africa nera. Il 67% ha tra i 21 e i 30 anni, mentre sono pochissimi quelli che superano i 40.

E' questa la fotografia, aggiornata al 2009, sulle condizioni dei 19mila richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Non immigrati ma "migranti forzati", perché scappati dalla guerra. A scattare la foto è il Centro Astalli, un'associazione di gesuiti presente a Roma, Vicenza e Palermo che opera da centro polifunzionale per l'assistenza e la protezione dei rifugiati in Italia. E grazie al monitoraggio dei loro spostamenti in ogni settore della vita quotidiana, il Centro fornisce in esclusiva il Rapporto 2010: un'interpretazione statistica delle condizioni di vita dei rifugiati "italiani" che da gennaio a dicembre 2009 sono entrati in contatto con l'Associazione.

I numeri. I numeri sono conseguenza delle misure del governo in materia di immigrazione. La flessione delle domande d'asilo seguìta alla politica dei respingimenti nel Mediterraneo si è avvertita fin dal giugno 2009: il calo registrato rispetto all'anno precedente era del 35,5%. Ma rispetto al 2008, gli utenti che hanno usufruito dei servizi dei centri Astalli sono aumentati. L'afflusso nelle mense, passaggio obbligatorio per conoscere e accedere agli altri servizi dei Centri, è cresciuto del 33%. Di pari passo si sono estesi i tempi di permanenza: il periodo medio di frequentazione delle mense per ogni utente si è allungato, superando in molti casi i sei mesi.

 

Uomini. Dei quattro centri presenti a Roma, quello di via degli Astalli è il più grande. Qui, i rifugiati maschi in attesa di pasti caldi sono principalmente afgani (6mila 851), eritrei (2mila 275) e somali (2mila 159). E anche considerando scenari "micro", le proporzioni non cambiano. Nel piccolo centro di San Saba, sempre a Roma, sono 81 gli ospiti accolti nel 2009. Di questi, 40 sono afgani, 7 iraniani, 6 della Costa d'Avorio, 3 dell'Eritrea e 3 dell'Iraq. Anche qui, l'età media è piuttosto bassa: il 74% ha meno di 30 anni.

Donne. Le donne rifugiate in Italia sono invece quasi tutte africane. Il 38% viene dal corno d'Africa (Eritrea, Etiopia, Somalia) e l'80% del totale ha un'età media compresa tra i 21 e i 40 anni, mentre più della metà ne ha meno di 30. Dal 2008 poi, c'è un cambiamento. Il periodo di permanenza delle donne nei centri si è allungato. Rispetto agli uomini, ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato è diventato più difficile. E le donne sono poche anche negli ambulatori medici messi a disposizione dai centri stessi: i pazienti sono per il 95% uomini, giovani afgani, o provenienti dai paesi del corno d'Africa ( 1/4 del totale).

Bambini. Aumenta la presenza di bambini in rapporto agli adulti: rispetto al 2008, i piccoli rifugiati hanno superato il 44% del totale. Di questi però, solo l'11% del numero complessivo dei rifugiati ospitati è riconosciuto dalla Stato italiano. Nel 38% dei casi si tratta infatti di minori in attesa di audizione in commissione. Al contrario degli adulti, i rifugiati-bambini vengono dal Kosovo, dall'Eritrea ma anche dalla Colombia e dalla Romania.

Lavoro. Diminuiscono le domande d'asilo ma crescono i rifugiati bisognosi di ascolto e orientamento legale: nel corso del 2009 il numero di persone che si è rivolto almeno una volta a uno dei Centri Astalli dedicati all'orientamento o al lavoro è cresciuto del 60% rispetto all'anno precedente. Il totale, 735 persone: 3/4 uomini, 1/4 donne e tutti titolari di protezione sussidiaria o di protezione umanitaria. Un dato, questo, che rivela una crescente difficoltà da parte degli stranieri a rivolgersi autonomamente ai servizi pubblici e privati, con analoga finalità, che operano sul territorio.

Nord-Sud. Nel 2008 si erano trasferiti nelle città del Nord Italia ma nel 2009 sono stati costretti a tornare sui loro passi. E' questo quello che emerge dal Rapporto 2010: uomini e donne del Bangladesh, del Marocco, dello Sri Lanka, della Somalia, del Ghana e della Costa d'Avorio, dopo aver perso il lavoro trovato al Nord, sono tornate in massa al Centro Astalli di Palermo. Costretti a chiedere, di nuovo, aiuto e assistenza.

(08 aprile 2010)

 

 

 

L'UNITA'

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2010-04-09

Migranti, il Vaticano critica gli accordi con la Libia

"Nessuno può essere trasferito, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste il serio pericolo che la persona sarà condannata a morte, torturata o sottoposta ad altre forme di punizione o trattamento degradante o disumano". Lo sostiene l'arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti riferendosi, in particolare all'accordo siglato tra Roma e Tripoli e ai recenti episodi di respingimenti.

"In Libia - ricorda Marchetto - esistono centri di detenzione e di rimpatrio dove le condizioni variano da accettabili a disumane e degradanti. E l'accesso a questi centri è difficile per cui è arduo monitorare il rispetto in essi dei diritti umani, tenendo poi conto che tale Paese non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951, nè al relativo Protocollo del 1967, e non riconosce l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati". "Confermo - sottolinea l'arcivescovo in una nota - la mia posizione di condanna a chi non osserva il principio di 'non refoulement', che sta alla base del trattamento da farsi a quanti fuggono da persecuzione. E mi domando se in tempo di pace non si riesce a far rispettare tale principio fondamentale del diritto internazionale umanitario, come si farà a richiederne l'osservanza in tempo di guerra. E la domanda si può estendere alla questione della protezione dei civili durante i conflitti, che viene così indebolita nella sua radice, comune, umanitaria".

Secondo il presule, "un altro diritto violato nell'atto di intercettare e respingere i migranti sulle coste africane del Mediterraneo è quello al 'giusto processò, che comprende il diritto a difendersi, a essere ascoltato, a fare appello contro una decisione amministrativa, il diritto ad ottenere una decisione motivata, e quello di essere informati sui fatti su cui si basa la sentenza, il diritto ad una corte indipendente ed imparziale".

09 aprile 2010

il SOLE 24 ORE

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